Non mi vergogno nell’ammettere di aver pensato che ci fosse un errore nella classifica dei tempi alla fine della prima sessione di prove della MotoGP™ a Jerez, venerdì mattina. Dani Pedrosa in sella alla KTM - sulla quale aveva lavorato tanto per svilupparla - davanti a tutti gli altri giovani piloti. Ovviamente non c’era alcun errore. Probabilmente Dani, insieme a Max Biaggi, è stato il pilota più sfortunato a non vincere nemmeno un titolo mondiale in MotoGP™. Aggiungiamoci anche Randy Mamola tra i più sfortunati a non aver vinto un titolo nella classe regina. 37 anni e ancora in grado di mettersi tutti alle spalle.
Questi giorni mi sono sentito più infastidito che arrabbiato, eccetto quando ho guardato le partite di calcio, ma quello che mi ha fatto arrabbiare è stata la lettera di un signore a una delle riviste britanniche più importanti nel campo del motociclismo. Diceva che le gare era diventate soft. Che negli anni Sessanta e Settanta spesso i piloti correvano con gli arti fratturati. Diceva che oggi in MotoGP™ abbiamo delle primedonne.
Spero che questo signore abbia visto il weekend di Jerez. Un 37enne che ha dovuto fare i conti con tanti infortuni e che si è messo tutti alle spalle in una sessione di prove. Nonostante questi infortuni che probabilmente gli sono costati un titolo in MotoGP™, Pedrosa ha vinto tre mondiali e 54 gare. Tutto questo senza dimenticare la determinazione e il coraggio di Enea Bastianini nel provare ad andare oltre al dolore legato alla frattura di una spalla che lo ha poi costretto a desistere. La frustrazione dell’otto volte campione del mondo Marc Marquez quando i medici gli hanno detto che non avrebbe potuto correre a causa della frattura alla mano. Marquez da tre anni sta facendo i conti con dei seri infortuni e con tanto dolore: voleva correre ma i medici hanno detto ‘no’. Non dimentichiamoci della seconda grossa caduta di Miguel Oliveira in questa stagione.
Bello richiamare il passato evidenziando solo gli aspetti positivi ma posso garantirvi che i piloti di oggi in MotoGP™ non sono affatto delle primedonne. Ovviamente i piloti del passato erano tosti. Ho vissuto in prima persona dei momenti davvero di grande coraggio da parte di piloti che si erano infortunati: basti pensare al recupero firmato da Barry Sheene dopo la caduta avvenuta a Daytona per poi andare a vincere due titoli mondiali in 500 cc. Nel 1982 ero a Silverstone quando dopo la caduta scoppiarono le fiamme ma Barry tornò a correre ancora una volta. Mick Doohan nel 1992 in Brasile riusciva a malapena a camminare ma era molto determinato nel difendere la sua prima posizione in classifica: non me lo dimenticherò mai. In epoca più recente, nel 2013 abbiamo visto Jorge Lorenzo tornare a Barcellona in aereo per farsi inserire una placca in titanio con dieci viti per cercare di recuperare al meglio dalla frattura alla clavicola riportata cadendo in prova ad Assen. Il cinque volte campione del mondo tornò due giorni dopo arrivando quinto al termine dei 26 giri previsti sul leggendario circuito olandese.
La vera essenza delle gare di motociclismo è legata al fatto che sono sempre state e sempre lo saranno, pericolose. Ciò che doveva essere fatto era rendere le gare le più sicure possibili. Ed è esattamente ciò che è successo. Circuiti più sicuri, una rivoluzione nella protezione dei piloti, soccorsi medici immediati e uno staff medico pronto a dire ‘no’ se ritiene che un pilota non sia idoneo a correre: tutto questo è stato decisivo. Ovviamente nessuno vuole vedere i piloti infortunarsi ma le cadute vanno accettate. Tutto ciò che può essere fatto per prevenire dei seri infortuni deve essere sottolineato. Tutto ciò che può essere fatto per garantire soccorsi medici immediati dopo un grave incidente deve essere corretto.
Primedonne, i piloti MotoGP™? Non credo proprio: ah, Dani, grazie per avermi fatto sorridere.