La tuta nera tutta d’un pezzo, fatta su misura. I capelli pettinati all’indietro, liscissimi quando si toglieva il casco a scodella. Vittorioso già nella sua prima apparizione sul palcoscenico iridato e successivamente capace di sei titoli Mondiali, è stato inoltre a capo di uno sciopero con cui i piloti si sono opposti agli scarsi compensi offerti dagli organizzatori delle gare.
Alla luce di tutto ciò, ma anche di più, Geoff Duke può essere considerato la prima superstar su due ruote.
In fin dei conti, ogni epoca ne ha avuta una: Giacomo Agostini negli anni 60, Barry Sheene e Kenny Roberts nei 70, Valentino Rossi nei 2000. Il talento era proprio di tutti i campioni del mondo, ma questi personaggi avevano qualcosa in più. Belli, carismatici, pieni di fascino. Pronti a lottare non solo per se stessi, ma anche per gli altri.
All'inizio degli anni 50, quando il campionato del mondo viveva le sue prime fasi, ecco arrivare Duke. Pioniere, dentro e fuori la pista. Un esempio per tutti.
Per il pubblico britannico, alla ricerca di un eroe sportivo dopo il dramma della Seconda Guerra Mondiale, era perfetto. Nel 1950 ha vinto la sua prima gara nella classe 500 sull’Isola di Man, in sella a una Norton monocilindrica. Nello mezzo litro e nella 350, su moto inglesi, si è giocato il titolo con tenacia, ma si è dovuto arrendere. Si è rifatto l’anno dopo, nel 1951, conquistandoli entrambi.
Per Duke, l’apoteosi: è stato votato sportivo dell’anno dai telespettatori dell’emittente BBC e successivamente insignito dell'Ordine dell'Impero Britannico.
Le cose però si stavano per complicare, perché nella classe regina si andava affermando lo strapotere di Gilera e MV Agusta, che nel 1952 non gli hanno permesso di raccogliere un bis ottenuto, invece, in 350.
Così, nel 1953 e dopo una lunga riflessione, l’inglese è passato alla Gilera, con la quale ha dominato la 500 per tre anni di fila mandando in orbita l’entusiasmo degli appassionati italiani.
Proprio nel 1955, l’ultima di quelle tre stagioni, Duke si è mostrato sensibile verso le esigenze dei colleghi privati, trattati in modo indegno da promoter senza scrupoli e avidi di denaro. La situazione è precipitata al TT di Assen, quando dodici piloti della 350 hanno completato un solo giro in segno di protesta contro la misera somma offerta loro per partecipare. Per gli organizzatori, poi, il panico: gli assi della 500, capitanati da Duke e dal compagno di squadra Reg Armstrong, hanno minacciato di fare come i colleghi. Alla fine, dopo trattative concitate, la gara è partita, anche se la FIM non era affatto contenta. A fine stagione ha sospeso Duke, Armstrong e altri 12 piloti per sei mesi. L’inglese aveva appena messo le mani sul sesto titolo.
Si è scusato, anche se con qualche ironia. Così, la FIM ha ceduto. Ma non più di tanto: gli ha permesso di correre solo a livello nazionale, all’inizio del 1956, facendogli perdere i primi due round iridati, compromettendo di fatto la sua stagione.
Ma lui, Duke, restava convinto di quanto aveva fatto: era pronto a difendere ciò in cui credeva, come farà ventiquattro anni dopo Kenny Roberts, con un successo molto maggiore.
Duke è stato attivo anche con le auto e come team manager. Viveva sull’Isola di Man, dove aveva raccolto il suo primo successo nel 1955. La prima superstar del motociclismo ci ha lasciati nel 2015. Lasciandoci i ricordi: la tuta nera, i capelli all’indietro. Ma soprattutto, il carisma.