Il re è lui: Agostini

Nick Harris spiega perché l'italiano è il migliore della storia

I fatti sono fatti. Difficile metterli in discussione. 

Certo, possono essere manipolati, invertiti, mescolati. Ma alla fine, il verdetto sarà sempre lo stesso. Nei 75 anni di storia dei Gran Premi, il più grande è stato lui: Giacomo Agostini. Re del motociclismo.

Sembra ovvio, dati alla mano. Ma c’è sempre chi ha voglia di mettere in discussione ciò che sembra scolpito nella roccia. Ago ha vinto quindici titoli mondiali e 122 Gran Premi. Nessuno lo ha avvicinato. Non basta?

Per il conte Domenico Agusta, patron della MV, era il pilota perfetto. Dopo aver affidato le sue moto ad assi come John Surtees, Gary Hocking e Mike Hailwood, poteva finalmente contare su un italiano come lui. Giovane, per di più. E pure bello. Affascinante. 

Agostini è entrato nel reparto corse di Cascina Costa proprio come compagno di squadra del britannico Hailwood. Era il 1965: subito la prima vittoria nella classe regina, sul circuito finlandese di Imatra, e a fine anno la palma di vicecampione del mondo dietro al più esperto inglese.

L’italiano era impegnato anche nella classe 350, l’accoppiata Jim Redman - Honda come principale rivale: si è dovuto accontentare del secondo posto anche in quella categoria, giocandosela fino alla fine e dando forfait per un problema tecnico nell’ultimo appuntamento del calendario, in Giappone. 

Hailwood è poi passato dalla MV alla Honda, il marchio nipponico all’inseguimento del primo titolo nella classe regina. La sfida era avvincente. Ago contro Mike the Bike, Italia contro Inghilterra fra i piloti, contro il Giappone fra i costruttori. 

Ad avere la meglio è stato Agostini, che si è ripetuto anche nel 1967. Nella stagione successiva, poi, lo stop della Honda, fuori dalle competizioni. Di lì in poi, l’italiano non ha più avuto rivali per parecchio tempo. Ha dominato. 

A un certo punto, sembra correre contro se stesso: trovava gli stimoli nel battere i suoi stessi record, piegando i rivali con distacchi abissali. Non era scontato: si correva su tracciati pieni di rischi, in un’era in cui il pericolo era la norma. L’Isola di Man, Rijeka, il Nurburgring, Imatra. Fra il 1968 e il 1970 Ago ha preso parte a 54 gare, fra le classi 350 e 500. Le ha vinte tutte. 

In quel periodo, anche un record fatto di 20 successi consecutivi in 500. Certo, il suo periodo d’oro non poteva durare per sempre. Arrivavano piloti nuovi e più giovani, in sella a moto tecnologicamente all’avanguardia. Il più minaccioso è stato Jarno Saarinen, che nel 1972 gli ha fatto sudare il titolo della 350. 

Nel 1973, poi, Agostini ha ceduto lo scettro della classe regina al compagno di squadra Phil Read. Ha quindi deciso di cambiare aria passando alla Yamaha, che gli metteva a disposizione una moto a due tempi dopo aver perso Saarinen, scomparso in un incidente a Monza. 

Nella sua prima stagione insieme al marchio giapponese, il 1975, l’italiano ha vinto il Mondiale della 350 e chiuso quarto nella 500. Si è però rifatto nel 1975, quando è diventato il primo ad affermarsi su una moto a due tempi nella mezzo litro. Quello, per lui, era il titolo numero 15. L’ultimo. Ma l’italiano voleva ancora dire la sua. 

Nel 1976 si è presentato in 500 con due moto diverse: aveva a disposizione una Suzuki a due tempi e una MV Agusta a quattro tempi. Nelle prove dell'ultimo round, sul leggendario circuito del Nurburgring, era salito su entrambe. Alla fine ha scelto di correre con la moto italiana, sulla carta sorpassata, con una decisione che riportava ai suoi anni migliori e sembrava essere spinta dai sogni del pubblico. La domenica, in gara, è salito sul gradino più alto del podio mettendosi dietro le due tempi. È stata l’ultima vittoria di una quattro tempi nella classe 500. Per lui, la numero 122 nei GP.

Il regno di Agostini si è chiuso in quel momento. Come dicono i fatti. Nessuno può metterli in discussione. 

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