Poteva succedere solo in quella che viene definita la “cattedrale della velocità”. E non per una, ma ben due volte.
Immaginatevi la scena: ai piloti della classe Moto3™, già schierati in griglia sul circuito di Assen, viene detto che dovranno correre anche in Moto2™ e MotoGP™.
È uno degli episodi bizzarri, questo, che potevano succedere solo lì, nel Paese dei tulipani. Su una pista diventata speciale per tante ragioni. Alcune delle quali straordinarie.
Assen è l’unico circuito, fra quelli in cui si corre l’attuale MotoGP™, già presente nella prima edizione del campionato, datata 1949. Nel 1975 c’è stata la volata più combattuta della classe 500, con un distacco mai così ridotto. In due occasioni, nel 1964 e 1966, due campioni del mondo hanno vinto, in un solo giorno, tre diverse gare.
Uno di loro era il sei volte iridato Jim Redman, che ha sfoggiato doti tecniche e tanta tenacia. Il 27 giugno del 1964 è salito sul gradino più alto del podio in tre classi: 125, 250 e 350, sempre sulle Honda ufficiali.
Due anni più tardi è stata la volta di Mike Hailwood, anche lui in pista con le moto del marchio giapponese e protagonista di una carriera da nove titoli mondiali. Il britannico, in un solo giorno, ha vinto in 250, 350 e 500.
Per farlo, calcolatrice alla mano, è stato in sella per più di tre ore, percorrendo 440 chilometri. Un record, questo, che probabilmente nessuno batterà mai.
Poi, nel 1975, una volata da far venire la pelle d’oca. A me piace pensare di avere avuto un ruolo, in quell’episodio. Insieme a una ventina di amici, ero arrivato in circuito pronto a tifare per il mio idolo, Barry Sheene, che in sella alla Suzuki si era da poco ripreso da un brutto botto a Daytona, avvenuto proprio all’inizio di quell’anno. Era caldo, e pure tanto. La birra, fresca, andava giù che era un piacere. Quando è partita la classe 500, ne era già andata giù parecchia. Sedici i giri previsti, durante i quali insieme ai miei amici abbiamo sventolato la bandiera inglese con energia. Sheene è rimasto nella scia di Giacomo Agostini, che era in testa sulla Yamaha, fino all’ultima curva. Insieme a noi, a fare il tifo, c’erano 135.000 spettatori scatenati.
Nei giri precedenti, Barry all’ultima curva si era sempre affacciato alla sinistra di Agostini, come per tentare un sorpasso mai concretizzato. All’ultimo giro, così, l’italiano si è difeso coprendo lo spazio sulla sinistra. Sheene però s’è messo a destra, i due vicinissimi. Hanno tagliato il traguardo praticamente insieme.
Franco Sheene, papà di Barry, correva su e giù per la pitlane in preda all’esaltazione, pensando che il figlio avesse vinto. Premeva affinché i giudici di gara dessero la vittoria a lui, che fino a quel momento in 500 non era mai salito sul gradino più alto del podio. Noi, per sostenerlo, abbiamo iniziato a fare chiasso insieme al resto del pubblico, sollevando un gran boato. Alla fine, siamo stati accontentati: la vittoria è stata data a Sheene. Anche se, dati alla mano, i due sono passati sotto la bandiera a scacchi insieme, con il tempo totale di gara di 48 minuti e un secondo.
Prima ad Amsterdam, e poi sul traghetto per tornare in Inghilterra, abbiamo festeggiato come si deve. Certo, razionalmente non credo che il chiasso che avevamo fatto avesse influenzato i giudici. Ma è bello pensarlo lo stesso.
Fino al 1973, non avevo mai assistito a un Gran Premio fuori dall’Isola di Man, dove si correva il Tourist Trophy. Quell’anno ad Assen ho visto il mio connazionale Phil Read vincere in 500 sulla MV Agusta mentre mangiavo delle patatine fritte con la maionese e bevevo birra, di prima mattina e dopo essere stato colpito dal numero di biciclette e mulini a vento visti arrivando lì.
Ancora, non facevo il giornalista. Il mio primo incarico da reporter è arrivato nel 1980, quando ad Assen a vincere in 500 è stato Jack Middleburg. Ricordo poi l’epica bagarre fra Valentino Rossi e Marc Marquez nel 2015, vissuta dalla cabina di commento. Due anni più tardi, sulla stessa pista, l’ultima vittoria dell’italiano nella top class. Nel 2016 c’era invece stato il primo successo in MotoGP™ di Jack Miller. Che dire poi del 2006, quando ho visto Colin Edwards cadere a pochi metri dalla bandiera a scacchi, mentre era impegnato nell’ultima variante? Se la meritava, quella vittoria. E invece.
Fino al 2016 ad Assen si correva di sabato, non di domenica. E ciò mi permetteva di tornare a casa in tempo per il pranzo domenicale, da gustare insieme alla mia famiglia.
Vedete, le ragioni per amare Assen sono state, e sono ancora, proprio tante.