Due giorni, oppure 2.184: ma sono tutti eroi

Da Mike Hailwood a Marc Marquez, i piloti della classe regina tornati al top dopo un incubo, raccontati da Nick Harris

Sono tutti entrati nei nostri cuori. E ci sono rimasti. Mike Hailwood, Barry Sheene, Mick Doohan, Jorge Lorenzo. E per ultimo Marc Marquez. Autori di percorsi che li hanno visti scendere nell'abisso e ritornare al top. Come i grandi campioni sanno fare.  

Qualcuno, e penso a Lorenzo, c'ha messo un paio di giorni. Altri, mi riferisco a Marquez, oltre duemila. All'origine del problema, un problema fisico per entrambi. Anche l'obiettivo era lo stesso: mettersi in testa la corona di campione del mondo.

Sheene è volato a oltre 250 km/h in un incidente finito in TV. Doohan è tornato da un grave infortunio perdendo comunque il titolo per quattro punti, ma rifacendosi più tardi con cinque sigilli.

Ma partiamo da Hailwood, che a differenza degli altri non è stato chiamato a recuperare da un infortunio. Lui è scappato da qualcosa di diverso. La noia. Alla fine del 1967, quando la Honda ha deciso di ritirarsi dai Gran Premi motociclistici, ha continuato a pagare il britannico, quattro volte campione del mondo nella classe regina, pur di non farlo correre per un altro marchio. Così dopo un po' lui si è dato alle quattro ruote, atterrando in F1, dove è salito per due volte sul podio. Nel 1973 ha ricevuto inoltre la George Medal per aver salvato la vita al collega Clay Regazzoni, tirandolo fuori da un'auto in fiamme a Kyalami. Ad Hailwood però le moto continuavano a piacere. Così, a 38 anni, ha deciso di tornare. Ha scelto il Tourist Trophy, sull'Isola di Man. In sella a una Ducati, ha vinto la Formula One race e dodici mesi più tardi si è ripetuto. Ha perso la vita nel 1981 in un incidente stradale insieme alla figlia Michelle, di nove anni. 

A metà degli anni 70 Sheene era già pieno di sostenitori. Alcuni sono partiti dal suo Paese, la Gran Bretagna, in direzione New York in aereo, poi via in autobus verso Daytona, giù per la costa orientale, per vederlo in azione. Ma quando sono arrivati, lui era in ospedale dopo un incidente ripreso dal regista Frank Cvitanovich per un approfondimento televisivo. Quando aveva iniziato a girare, l'autore non si aspettava certo che le cose prendessero la piega che hanno preso.

Mentre viaggiava a circa 250 km/h, la Suzuki 750 di Sheene si è messa di traverso e l'ha lanciato in aria. Il britannico ha strisciato per 300 metri sull'asfalto, poi si è fermato, mentre la telecamera riprendeva la scena. Nonostante un braccio rotto, si è slacciato il casco. E più tardi, in ospedale, ha fatto l'elenco delle ossa rotte. Femore destro e braccio destro. E ancora: fratture da compressione a diverse vertebre, tanta la pelle che mancava dalla schiena. Come da sua tradizione, mentre ne parlava, Sheene ha chiesto una sigaretta. Quelle immagini lo hanno reso un eroe nazionale nel Regno Unito. 

Appena sette settimane più tardi il britannico era in pista a Cadwell Park. Quattro mesi dopo ha vinto la sua prima gara nella classe regina. È successo ad Assen, dopo un epico duello con Giacomo Agostini

Nella sua carriera Sheene ha conquistato due titoli mondiali della premier class, ottenendo 18 ulteriori vittorie. Nel 1982, metre si giocava il titolo con Kenny Roberts, è caduto nelle prove del suo GP di casa, a Silverstone, facendosi parecchio male. Sette mesi più tardi era al via del primo appuntamento del 1983, a Kyalami. Ha chiuso decimo e continuato a correre per un altro paio d'anni. 

I calendari vanno avanti fino al 1992 e ci riportano ad Assen, dove Doohan è arrivato da dominatore della stagione. Primo posto nei quattro GP d'apertura dell'annata, poi un paio d'argenti e un'altra vittoria. In classifica il suo vantaggio era di 53 punti. Durante le qualifiche però è caduto, rompendosi la gamba destra. Si è fatto operare nell'ospedale locale. 

Poi il guaio: la gamba stava diventando nera e le cose sono precipitate. Si parlava di amputazione. La soluzione è arrivata come in un film, con il dottor Claudio Costa della Clinica Mobile che ha sostanzialmente rapito l'australiano, e l'infortunato Kevin Schwantz, portando entrambi a Imola, la sua città. L'australiano è poi stato trasferito negli Stati Uniti, dove ha evitato l'amputazione. Certo, non è stato semplice: a un certo punto le sue due gambe erano state unite, per fare in modo che la circolazione arrivasse dove serviva. In pista, nel frattempo, Wayne Rainey si avvicinava sempre di più in campionato. Doohan era determinato a non farsi battere: sette settimane dopo l'incidente si è presentato a Interlagos, in Brasile, per partecipare al penultimo appuntamento della stagione.

Riusciva appena a camminare. Ha fatto quello che ha potuto, chiudendo dodicesimo e quindi fuori dalla zona punti, secondo il sistema di quel periodo. Rainey, vincente, si è così portato a due lunghezze da lui nella classifica generale. A Kyalami, nel round decisivo, Doohan ha chiuso sesto. Rainey, terzo, si è aggiudicato il titolo per quattro punti. 

A livello sia fisico che mentale, Doohan ci ha impiegato un po' per riprendersi del tutto. Come comprensibile. È tornato a vincere oltre un anno dopo l'incidente, al Mugello nel 1993. Poi è esploso: cinque i titoli della classe regina che si è messo in bacheca prima di un incidente che nel 1999, a Jerez, lo ha spinto al ritiro. 

Poi è arrivato Marquez, protagonista di un recupero incerto e doloroso concluso nel settembre scorso con il settimo titolo nella classe regina, ottenuto a Motegi. Un pilota che nel suo percorso ha atteso 1.043 giorni fra una vittoria e l'altra, 2.184 a separare il sesto Mondiale da quello successivo. Nel mezzo, 108 cadute e cinque operazioni chirurgiche. 

All'esatto opposto, con un ritorno lampo, va ricordato Lorenzo. Dodici anni fa, ad Assen, è caduto nelle prove e si è rotto la clavicola sinistra. È volato a Barcellona, si è fatto sistemare la frattura con una placca in titanio fissata da dieci viti e due giorni dopo era già in sella per la gara, quinto al traguardo al termine di 26 giri trascorsi a fare i conti col dolore. Due settimane più tardi è caduto di nuovo, al Sachsenring, picchiando sulla spalla infortunata, la clavicola rotta di nuovo. Il titolo a fine stagione è andato a Marquez, al primo anno nella classe regina. Lorenzo si è rifatto nel 2015 con il suo terzo Mondiale in MotoGP. 

Insomma, non conta quanti giorni sono passati. Per qualcuno pochi, per altri un'infinità. Le imprese non si misurano da questi numeri. Ma restano nella storia, insieme agli eroi che ne sono stati protagonisti. 

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