Ne sono cambiate di cose negli ultimi 61 anni. Lo dico alla luce dell'attuale successo del campionato del mondo femminile FIM, che quest’anno mette in nuova luce un episodio registrato nel lontano 1963. Beryl Swain, diventata nel 1962 la prima donna a correre nel Mondiale, è stata fermata dalla federazione internazionale. Come? Le hanno revocato la licenza. Il motivo? Pensavano che le corse fossero troppo pericolose per una donna.
Proprio Swain, insieme a colleghe come Gina Bovaird, Taru Rinne e Tomoko Igata, è stata un esempio di coraggio e determinazione che non può essere ignorato. Grazie a loro, le cose sono progressivamente cambiate. Anche se a passo di lumaca. A minare il percorso c’erano pregiudizi e convenzioni da combattere e sfatare. Oggi, sulle orme di quelle donne, Ana Carrasco e Maria Herrera possono liberamente esprimere il proprio talento.
What does Cremona have in store for us this weekend? 👀
— WorldWCR (@World_WCR) September 17, 2024
Back in May, history was made for WorldWCR with the first-ever test; now, we get to go racing! 🔥#WorldWCR 🇮🇹 pic.twitter.com/dwLSd9kK8B
La ricordo bene, Swain. Nella tv in bianco e nero del 1962, sintonizzata sull’emittente BBC. Su una Itom 50 mentre si allenava a sud di Londra in vista del debutto iridato, previsto sull’Isola di Man. Il risultato: un 22esimo posto. Poi nulla, visto il paletto messo dalla FIM. Per le donne, l’unico modo di correre era fare da passeggera in un sidecar guidato da un maschietto.
Quasi vent’anni dopo, nel 1980, mi trovavo a Daytona per la 200 Miglia. In griglia c’era Gina Bouvaird, in sella a una Yamaha TZ 500, la prima donna a cimentarsi nell’appuntamento americano: quello stesso anno, a Brands Hatch, era nella mischia con i grandi della classe regina. Un sogno realizzato, per lei, che l’ha portata nella categoria più tosta, pericolosa e veloce.
Non è riuscita a qualificarsi, però, come successo anche nei tentativi successivi. Almeno fino al Gran Premio di Francia del 1982, corso a Nogaro. Un appuntamento ricordato anche per il forfait di diversi big pronti a puntare il dito contro la scarsa sicurezza.
Qualificandosi, Bouvaird ha fatto qualcosa di eccezionale, anche se poi in gara non ha visto la bandiera a scacchi. Nel 2024, a 75 anni dal primo campionato del mondo, è ancora l’unica donna ad aver corso nella top class.
Avanti di altri sette anni, sul muretto box del circuito di Hockenheim, in Germania, per la stagione 1989. In una mano avevo un blocchetto per gli appunti, nell’altra una penna, in mente quello che dovevo fare: appuntarmi le posizioni dei piloti della 125 giro dopo giro. Il nome assegnato alla seconda casella della griglia: Taru Rinne. E chi è? Beh, una donna, ho scoperto poi. La finlandese, in sella a una Honda, ha lottato per gran parte della gara coi primi, chiudendo settima a dieci secondi da Alex Criville, impegnato nel percorso verso il titolo della ottavo di litro.
Rinne è stata la prima donna a mettersi in testa a un GP. Un mese più tardi, ad Assen, ha raccolto un ottavo posto. La sua ascesa si è fermata nella stagione successiva dopo un brutto volo nel Gran Premio di Francia.
Il settimo posto che aveva raccolto in Germania è stato eguagliato, nel 1995, dalla giapponese Tomoko Igata. È successo a Brno per il Gran Premio della Repubblica Ceca, classe 125.
Nessuna donna ha mai fatto meglio di loro. Carrasco però ci è andata vicina: nel 2013, in Moto3™, ha tagliato il traguardo del circuito di Valencia all’ottavo posto.
Risultati a parte, a cambiare in questi sei decenni sono stati i valori e i credo. Dovremmo rifletterci, per allargare queste prospettive a tutti gli aspetti della vita. Ricordando chi, come loro, ha aperto la strada.